Quella notte era gelida. Un vento freddo proveniente da chissà dove gli soffiava sulle orecchie fino a raggiungere e mordergli le ossa. Nonostante tutto quello che avesse bevuto e tutto quello che gli fosse capitato fino ad allora, congelava e tremava. Solitamente non pativa il freddo, anzi lo adorava più del caldo estivo che lo costringeva a boccheggiare e sudando, se non si fosse sentito uno stupido, avrebbe addirittura tirato fuori la lingua come un cane.
Seduto su di una panchina di legno liscio, pitturata di verde nel mezzo di un parco in collina, poco lontano dalla città, continuava a percorrere e ripercorrere nella sua mente ogni istante che aveva vissuto; giusto per trovarne un filo logico. Il suo respiro era profondo e lento. Sebbene la solitudine attorno gli struggesse il cuore, neppure una lacrima gli aveva ancora attraversato il volto ormai pallido. Teneva le palpebre tanto socchiuse che i suoi occhi azzurri avevano solo uno spiraglio minuto per riuscire a vedere all’esterno; quasi come se dovessero spiare ogni movimento nelle vicinanze. Disperato e tormentato dai tanto fugaci quanto brutti pensieri sul proprio passato, non sapeva più come cavarsene fuori. Aveva provato a reagire a quella situazione in diversi modi, aveva cercato di uscire con diverse persone, bevuto, ballato, scherzato e giocato con ognuna di esse. Ben presto si accorse che non era quello che desiderava e che l’avrebbe aiutato a rimettersi in sesto. Desiderava rimanere solo con se stesso, e basta.
Per sua natura purtroppo non era mai riuscito a confessare ad alcuno i suoi vari stati d’animo e le sue disgraziate vicissitudini. Era più forte di lui, proprio non ci riusciva, non che non si fidasse delle altre persone, piuttosto non riusciva a trovare il coraggio per affrontarle, riuscire dialogare fra simili. Era molto testardo e sicuramente non ci teneva a far pesare le proprie sciagure a coloro che gli rimanevano vicino e che, magari, già avevano i loro guai a cui pensare. Preferiva risolvere tutto da solo, il più delle volte in silenzio, cosa che lo portò inaspettatamente a prendere decisioni sbagliate, la maggior parte delle quali deleterie.
Erano ore ormai che continuava a trangugiare lentamente quel delizioso Cognac portato da casa, adorava quella sublime acquavite francese distillata da altrettanto sublime vino. Scovò quella bottiglia quasi per caso, prima di uscire si era messo a cercare nel suo alloggio, nell’armadietto dei suoi pregiati alcolici, qualcosa che potesse accompagnarlo durante l’intera serata. Non voleva bere nulla di eccessivamente amaro e dal gusto stomachevole, aveva bisogno di qualcosa di unico, prezioso e classico al tempo stesso. Ed ecco che gli apparve per un fortuito caso una bottiglia strana dal lungo collo e dal tondo ventre, un Courvoisier. Curioso di assaggiarlo, lo portò via con sé, nascondendolo sotto il giubbotto per evitare lo sguardo inquisitore dei vicini di casa che non avrebbero di certo capito. Quel Cognac ora era quasi finito e lui quasi ubriaco faceva fatica a berlo.
Con la testa che gli altalenava da una parte all’altra sulle spalle, continuava a guardarsi intorno, di certo distante dalla sua solitudine, quasi come se aspettasse che l’arrivo di qualcuno a salvarlo. Intorno a lui però era solo deserto, coperto dal buio della notte. Alberi scuri ed erba umida, forme risplendenti le dolci carezze dei fiochi barlumi della Luna.
Tirò fuori dal taschino interno del giubbotto il suo affezionato taccuino nero e la sua penna stilografica e con la mano tremante abbozzò una sorte di poesia nonostante lui non conoscesse le figure retoriche e non fosse un poeta. Gli piaceva ogni tanto improvvisarsi qualcun altro. La poesia che scrisse la intitolò “Fenice nottambula” e questa recitava:
“Dal buio risorgerò
Dalle ceneri della tenebra
Come Fenice nottambula
Mi desterò per la luce
In questo sonno oscuro
Millenario
Ancora debolmente
Il mio cuore palpita
Ubriaco
Rantola
Rantola
Rantola
Dall'oscurità m’innalzerò e
Con ali leggere di argento
Vivo
Per vedere di nuovo
Fiammeggiante la Luna
Come Fenice nottambula
Volerò via”
Di seguito alla poesia scrisse ancora una nota:
“Ma perché fare tutto questo? Non ho perso già abbastanza tempo? Sì, l’ ho perso. E’ vero. Faccio di tutto per perderlo e a dire il vero mi piace molto. Ma in fondo chi se ne frega. E’ bello essere masochisti con sé stessi, no? Davvero tanto!”
Dopo il punto esclamativo chiuse la penna ed il quadernetto e li ripose nel taschino, si coricò sulla panchina con la faccia rivolta verso il sentiero di fronte che portava verso uno spiazzo erboso. Portò nuovamente la bottiglia verso la bocca e fece altri pochi e piccoli sorsi di quel delizioso Cognac finché non lo finì, stupito e un po’ amareggiato adagiò gentilmente la bottiglia per terra facendola rotolare giù per il sentiero. Chiuse gli occhi per qualche istante e in lontananza sentì un rumore di passi verosimilmente provenienti dal sentiero. Ci mise un poco a capire che qualcuno si stesse dirigendo verso la sua direzione. Ci mise abbastanza per riprendersi, aprire gli occhi e rimettersi seduto sulla panchina, probabilmente non ce la faceva nemmeno a stare in piedi, era comprensibile. Quei passi si fecero sempre più vicini fino all’istante in cui intravide poco lontano da lui una sagoma vagamente definibile, un’ombra nell’ombra della notte. Si faceva sempre più vicina. Sempre di più, abbastanza da notare che fosse caratterizzata da una camminata dolcemente aggraziata e sinuosa, forse si trattava di una donna. Lui non capì il motivo per il quale una donna a quell’ora di notte potesse essere interessata ad avvicinarsi ad un uomo ridotto in quello stato. Si faceva sempre più vicina, sempre di più.
Si trattava per davvero di una donna ma non riusciva a guardarla in volto, non ce la faceva neppure ad alzare lo sguardo. Eppure sembrava intenzionata davvero a parlare con lui. Continuava ad interrogarsi sul perché di quell’ambigua situazione, non sapeva come reagire, se alzarsi goffamente in piedi e, facendo finta di nulla, andarsene, oppure se farsi coraggio e affrontarla con un bel faccia a faccia. Quell’indecisione però durò troppo a lungo, lei ormai di fronte a lui arrestò il passo, lo guardò negli occhi e dopo aver percepito il suo preoccupato stato d’animo, quel tanto che bastasse a capirlo, gli chiese con beffarda naturalezza il perché di quell’atteggiamento.
“Niente.” - le rispose lui con fare quasi insolente. Guardandola meglio si accorse che si trattava di una bella ragazza, non si capacitava di tutto quella stranezza intorno a lui, era tutto così irreale e onirico.
“Non ti capisco davvero. Sei strano!” - lo incalzò subito – “Guarda che Luna che risplende in cielo stasera. Strepitosa quando è piena, no? Talmente bella da mozzare il fiato a chiunque e tu te ne stai lì solo come uno stupido a guardarti intorno senza alzare quegli occhi così chiusi. La guardi mai? Non ti capisco davvero, sembri ubriaco, ma che hai? Che ti è successo?”.
Meravigliato da una simile mancanza di rispetto nei suoi confronti, non sapeva più che pensare, si sentiva al tempo stesso imbarazzato, confuso e incantato e lei gli appariva come se fosse una dea straniera scesa dal cielo stellato verso quel parco cui a pochi interessava ancora. La prima cosa che gli passò per la testa fu un interrogativo sul perché ricevesse così tante attenzioni da parte sua, soprattutto in quel modo. Intanto lei si sedette con delicatezza affianco a lui che inconsapevolmente si scostò rapidamente, giusto quel poco per lasciare uno spazio tra di loro, una sorta di barriera invisibile che gli bastava ad evitare quell’imbarazzante frangente.
Passò ancora qualche attimo prima che lui rispose, e infine disse: “Niente”. Gli sembrava indubbiamente la risposta migliore, in fondo a lei cosa poteva interessare di quel povero uomo e dei suoi trascorsi, e poi non era intenzionato a parlargliene; ci mancava anche questo! Ciononostante si sentiva alquanto attratto da lei.
“Vabbeh. Non ti capisco. Ti dispiace se andiamo a sederci sull’erba? Sembra così fresca e tu mi sembri intenzionato a metterti più comodo, hai l’aria di uno che ha passato tutta la notte su quella panchina. Sbaglio?”
Incredulo di quella richiesta non capiva più nulla, credeva che lo prendesse in giro o peggio avesse qualche losco piano da portare a termine, forse asportargli i reni o chissà cos’altro. Altrimenti si era improvvisamente addormentato in modo pesante e ora stava facendo un sogno, uno di quei sogni che sarebbe meglio farsi analizzare da uno psicologo ( a volte la mente gioca brutti scherzi, soprattutto dopo che ci si è sgolati una bottiglia di Courvoisier). Eppure il volto di quella donna sembrava limpido e del tutto equivoco e i suoi occhi brillavano come fuoco in un camino, erano seducenti. Non sapendo più cosa fare, acconsentì non pensando più ad altro. I due si alzarono quasi contemporaneamente e si diressero verso il centro del parco poco più in là dalla panchina. Il centro del parco, delimitato da un cerchio di frassini, appariva come una verde distesa illuminata dalla bianca luce della Luna, calma e soave. Sembrava quasi che quello spiazzo potesse essere una sorta di cerchio druidico, uno di quelli che aveva visto in qualche libro di storia antica, al posto del circolo di pietre però c’erano gli alberi.
“Va bene qui?”
“Sì, bene.” - Le rispose ancora.
Prima di sedersi lei si tolse il cappotto nero e lo posò per terra come se fosse una tovaglia da picnic ed esortò l’uomo a fare altrettanto, in seguito si sedette sopra, così fece anche lui con il giubbotto. La testa ormai era una giostra che girava durante un giorno di nebbia, ma poco gli importava ormai, era abituato agli effetti dell’alcol e non era quello che lo straniva. Tutt’altro. Lei si era messa comoda e sembrava rilassata, il suo respiro era calmo, volse lo sguardo alla Luna piena e per qualche interminabile istante a lui pareva che lei si stesse concentrando su di essa.
Fissandolo negli occhi per interminabili istanti con uno sguardo denso di magnetismo penetrante, incominciò a sbottonarsi e levarsi il golfino di lana scura. S’intravedeva il reggiseno ricamato. Lui era sbalordito e stralunato. Lei si sganciò anche il reggiseno e lo gettò poco più in là.
Lui trasalì un istante tra sé e sé, gli palpitò forte il cuore e non poté far altro che osservarle i seni, erano magnifici, non eccessivamente prosperosi ma ben formati e ben tondi dalla cima ribelle, si reggevano su da soli, tra loro si trovava un lieve avvallamento candido. Erano stupendi e perfetti, meritavano ogni sorta di riverenza e venerazione.
In seguito lei si tolse anche le scarpe e i calzini. “Slacciami i jeans per favore” - gli sussurrò adagio all’orecchio, quasi fosse una dolce imposizione a cui lui non poteva mancare di adempiere. Arrivato a quel punto, sapendo cosa fare, acconsentì a quella particolare esortazione. Si sentiva profondamente attratto da quella donna e delicatamente le sfilò i pantaloni. Nel momento in cui lo faceva con l’indice poté sfiorare le sue gambe e lentamente apprezzare quanto la sua pelle calda fosse candida e liscia, un caldo a tratti genuino e quasi misterioso, dato il freddo intorno a loro. Notò anche gli slip che lei portava, bianchi con fiori gialli ricamati, perfettamente aderenti ai solidi e ben rotondi glutei e a quel corpo impeccabile. Quella donna aveva qualcosa di assolutamente divino. Lui pensò nuovamente di aver di fronte una dea alla quale avrebbe dato tutta la sua più pia devozione. Lei si rimise comoda iniziò a guardarsi le varie parti del corpo con una sorta di sorriso velato. “Abbracciami”. Perplesso, acconsentì anche a quello. Si abbandonò in quell’abbraccio, il contatto con quella pelle delicata lo calmava, il profumo di lei, così impercettibile e buono, gli rammentava giornate passate all’aria aperta; una naturalezza di cui lui ora aveva di nuovo bisogno, un’istintiva necessità della quale non avrebbe più potuto fare a meno. A quel punto lei, liberandosi gentilmente dall’abbraccio, si alzò in piedi e, camminandogli intorno e fissandolo sempre negli occhi, con i piedi nudi sulle giacche gli fece sembrare il suo movimento una sorta di lenta danza rituale. Iniziò a spogliarlo e mentre lo faceva, lo accarezzava e lo baciava, prima soavemente e poi ardentemente, lui non oppose alcuna resistenza. Si lasciò svestire. Ora poteva sentire le dita di lei che delicatamente gli sfioravano la pelle, ogni tocco era gentile come se gli si poggiassero addosso rossi petali di rosa canina.
Fecero l’amore per tutta la notte per quello che lui poté ricordarsi l’indomani. Una volta sveglio però si accorse ben presto che lei non c’era più, si era dileguata come un genitore potrebbe farlo in un brutto sogno quando si è bambini. Vide il suo quaderno accanto, lo ghermì e lo dischiuse sfruttando il segnalibro alla pagina dove aveva scritto la sera prima, e si accorse che sotto la sua ultima nota c’era una frase che di certo non aveva scritto lui: “Spero che ti sia ricreduto, ho passato una notte magnifica con te. Forse ci incontreremo ancora. Fatti accompagnare dalla delicatezza della Luna. Sono sicura che la Fenice nottambula risorgerà.”.
Era sicuro che non avrebbe mai più incontrato quella misteriosa ragazza e, se fosse capitato, forse non sarebbe mai più riuscito a riconoscerla. Nonostante questi pensieri negativi, qualcosa in lui ancora fremeva, desideroso di un nuovo incontro con quella splendida creatura divina.
Cercò il cellulare per capire che ore fossero, lo trovò e strabuzzando gli occhi lo guardò. Si accorse che era arrivata l’ora di scappare da lì perché aveva ancora bisogno di riposare prima di poter andare al lavoro. Decise di andare a casa per poi gettarsi per qualche ora nel suo comodo letto, il quale gli avrebbe dato il giusto ristoro; quello di cui aveva davvero bisogno per poi poter essere in forma in ufficio. Non gli rimaneva altro che rivestirsi e tornare a casa. In fretta raccattò gli indumenti, si rivestì e con una fortissima emicrania tornò alla macchina. Gli parve che la Fenice nottambula fosse davvero risorta.
... è senz'altro scritto bene... la fine hai "corso" un po', sembra che volessi chiudere in fretta!
RispondiEliminaPer il contenuto non so dirti: è ovvio che hai delle idee molto interessanti, che dovresti farti conoscere a livello (ora) professionale.
Questo però è un parere personale; probabilmente ad una critica di mestiere potrebbe sembrare un racconto scontato, forse un po'autobiografico, con spunti interessanti ( il Cognac, il cerchio druidico degli alberi, la poesia).
La donna forse è la cosa meno originale, nel senso che mi stupisce che un uomo, così solitario e deluso da se stesso, possa trovare in una donna misteriosa, che gli offre gratuitamente il suo corpo, seppur divino, una ragione per far rinascere la Fenice. Ma tu sei un ragazzo e questo racconto è un po'datato, quindi puoi ancora pensare che un amore sincero e gratuito sia in grado di risollevare una vita ormai al limite... non so... dovresti spiegarmelo... lui non sentiva quel calore da tempo e lei ha risvegliato il suo torpore?... boh! Lo classificherei un racconto di fantasia, data lapresenza della donna!
Ti consiglio di appuntarti un particolare: racconti con protagonista un uomo, un "amante" del Cognac o alcol in genere, solitario, un po' deluso, in attesa di qualcosa, che sia donna o realizzazione... potrei elencare altro: sono spunti autobiografici e questo sicuramente giova al racconto, perchè nessuno può essere originale come te e descrivere quello che tu dici come lo fai tu, perchè sono tue chiare esperienze e sensazioni, ma "condisci" il tuo mondo anche di altri personaggi. Possono far parte del tuo mondo o della tua fantasia, ma - te lo ripeto- a livello letterario quasi nessuno potrebbe continuare a leggere racconti di uomini solitari e basta! Cioè o crei un personaggio tipo Montalbano e Co., cioè dei gialli/thriller basati su un uomo particolare o scrivi un libro!!!!!!!!!!!!!!!!
Non volevo essere cruda, ma esserti di aiuto, e ricorda: smetti di scrivere per te stesso, devi scrivere per gli altri; scrivere un libro, a mio parere, è come mettere al mondo un figlioletto: non lo devi fare per te stesso, ma crescerlo in modo tale che possa servire" a qualcun altro. Inoltre stampa i tuoi racconti migliori, io lo farei, e falli leggere ai tuoi amici che potrebbero dirti cosa ne pensano...
betty
Betty, te lo devo proprio dire. Grazie! Mi ha fatto davvaro piacere questo commento, soprattutto per il fatto che dimostri di aver letto tutto molto attentamente.
RispondiEliminaDevo essere sincero. Questo testo l'ho scritto sì un anno fa, ma l'intento era un altro; sarebbe dovuto essere il primo capitolo di un romanzo. Il fatto che finisca troppo in fretta è giustificato dal fatto che l'ultima frase "Gli parve che la Fenice nottambula fosse davvero risorta." l'ho aggiunta solo più tardi. Avevo già preparato il secondo capitolo. A dire il vero, la trama l'avevo già pensata, però mi mancavano tutti i personaggi di contorno e parecchie documentazioni, per le quali avrei perso molto tempo nel cercarle; quindi mi sono ritrovato a non sapere cosa aggiungere ed ero sicuro che la storia sarebbe finita irrimediabilmente in quattro capitoletti. Così ho desistito dal mio intento ed il resto l'ho cancellato.
Per quanto riguarda i personaggi, credo che continuerò "Lo studio" , come l'ho definito qualche settimana fa, il mio primo "corto romanzetto poco sentimantale". Eheh. Questo te l'avevo già detto, no? Non credo che i protagonosti siano malvagi, soprattutto se pian piano scoprirermo assieme i loro vari lati... Spero di portarlo avanti il prima possibile!
Or ora ho anche un'altra ideuzza, una storia per un romanzo che voglio iniziare per poi finirlo seriamente; purtroppo però ho bisogno comunque di tantissimo tempo e gli impegni sono assai molti. Non so proprio come fare. Dovrei andare via per sei mesi in un motel, con vitto e alloggio già pagati, o in una baita su di un cucuzzolo in montagna, o piuttosto fuori da casa mia. Eheh.